Welfare

L’umanitario visto dall’ Onu

Un tempo c’erano le crisi locali.Oggi i disastri colpiscono milioni di persone,e le guerre diventano massacri di civili inermi.

di Sandro Calvani

Già la Carta Onu, firmata a San Francisco nel 1945, sanciva le linee fondamentali del diritto internazionale per costruire la sicurezza umana. Poi le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 precisarono i fondamenti del diritto umanitario in versione moderna. Un nuovo impeto e definizioni dell?aiuto umanitario scaturirono negli anni 60, a seguito delle gravi carestie in India e in Biafra. Negli anni 80 furono le nuove carestie dell?Etiopia e il fenomeno di decine di migliaia di boat people a provocare nei Paesi ricchi infuocati dibattiti parlamentari sugli aiuti internazionali. Così nacquero leggi sulla cooperazione internazionale e fondi speciali contro la fame e per il soccorso umanitario internazionale.
Gli aiuti in alcuni casi furono generosi (anche se raramente), ma gli operatori umanitari si ritrovavano, prima, durante e dopo le campagne di soccorso, con profonde frustrazioni irrisolte. A seguito di tali frustrazioni prese piede la nuova linea di pensiero umanitario chiamata ?diritto d?ingerenza umanitaria? che rappresentò il primo tentativo d?imporre seri limiti al sacro principio della sovranità nazionale.

Metodi disumani di lotta
Oggi vediamo un?altra ondata d?interesse sull?universo dell?aiuto umanitario. Ma, questa volta, l?analisi è più complessa. La prima novità è che la vulnerabilità della razza umana a livello globale presenta un ordine di grandezza mai visto prima: nel 2003, 200 milioni di persone sono state colpite dai disastri naturali e 45 milioni di persone hanno avuto bisogno di assistenza urgente per sopravvivere, in emergenze complesse causate dall?uomo.
La seconda caratteristica nuova delle crisi umanitarie è la trasformazione della natura dei conflitti; da internazionali o inter-Stati, a nazionali o intra-Stati. La popolazione civile è, sempre più, l?obiettivo deliberato della violenza invece che esserne vittima collaterale. L?abuso diffuso dei diritti umani in situazioni di crisi e i metodi disumani di lotta come la violenza sessuale di massa, le torture, il taglio delle mani dei bambini, l?uso di bambini soldato, hanno contribuito a creare un numero di sfollati interni doppio rispetto ai rifugiati fuori dei confini nazionali. Altro che Convenzioni di Ginevra!
Adesso non si rispetta neanche più l?antica regola di condotta nei conflitti tradizionali, stabilita dai primi trattati umanitari a partire dal 1864: «Non si spara sulla Croce Rossa, sui feriti, sui prigionieri». Oggi gli operatori umanitari sono presi di mira come un nemico qualunque, i prigionieri possono di nuovo essere torturati o tenuti in campi di concentramento, i rifugiati possono essere attaccati, saccheggiati e sterminati, l?accesso degli aiuti alle persone in necessità può essere impedito. Come hanno dimostrato le crisi del Rwanda, di Srebrenica e del Sudan, la linea di distinzione tra combattenti e civili è divenuta più sfumata e le rappresaglie sulla popolazione civile sono una prassi comune di dimensioni mai viste prima, invece che incidenti eccezionali e limitati.

Disastri poco naturali
Una terza dimensione di disumanizzazione delle crisi, forse la più preoccupante, è la crescente relazione o addirittura integrazione causale tra disastri naturali e disastri causati dall?uomo.
I conflitti tendono a ripetersi più spesso nelle aree colpite da povertà e disastri naturali. I piccoli conflitti etnici sono amplificati da interessi economici e criminali, per poi sfociare in crisi umanitarie. La criminalità organizzata transnazionale provoca vasti danni ambientali, col taglio indiscriminato di foreste vergini per estrarre legni pregiati, interventi che presto o tardi provocano disastri ?naturali?. La corruzione amplifica e perpetra nel tempo i gravi danni causati da eventi naturali, come terremoti e maremoti. Disuguaglianza crescente, preferenza per investimenti di accelerazione della ricchezza finanziaria invece che dell?occupazione, fanno sì che in democrazie giovani e fragili le misure di prevenzione, allerta precoce e protezione delle vittime in caso di disastri naturali siano l?ultima priorità politica o semplicemente non esistano.

Communitas n. 2 -Mettersi in mezzo si può?
Il militare e l?umanitario sono l?evoluzione dell?uno e dell?altro negli scenari delle guerre che hanno caratterizzato il passaggio di secolo. L?azione umanitaria praticata sul terreno della guerra si mette in mezzo cercando di ricostruire ciò che la forma estrema del conflitto distrugge. Il nostro racconto parte dai Balcani. Là dove tutto è iniziato. Là dove la comunità si è fatta maledetta producendo la guerra civile molecolare e diffusa e la guerra si è fatto giusta e umanitaria con i suoi bombardamenti dall?alto. Migliaia di volontari sono accorsi. Non come ai tempi delle guerre del ?900 per schierarsi da una parte o dall?altra del conflitto ma per mettersi in mezzo. Per portare aiuti alle vittime, ai profughi, ricostruire comunità e forme di convivenza. Il racconto prosegue osservando l?umanitario che agisce e interviene Là dove nessuno ne parla. L?Africa, tanto grande negli spazi e nei numeri della tragedia, ma tanto piccola da scomparire nei flussi della globalizzazione. A differenza dell?Iraq. Là dove tutti ne parlano. Lungo questo percorso globale – i Balcani, l?Africa e l?Iraq – abbiamo scavato nella crisi dell?umanitario. Interrogandoci attorno a una inquietante domanda. Nell?epoca delle guerre sante, preventive, giuste e umanitarie, ha ancora senso l?agire umanitario per ricostruire forme di convivenza e di comunità locale e globale?
Aldo Bonomi

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